Io sono nata a San Rocco di Camogli, sulla Ruta, come dicono gli abitanti, e per questo devo tornarvi, inverno o estate, almeno una volta l’anno. Dovevo nascere a metà settembre, in tempo per il rientro dalle vacanze estive passate in una grande casa, presa in affitto per la villeggiatura.
C’erano nonne, zie, prozie, cuginetti. La soluzione ideale e semplice, per non sentire il caldo della città quando non esisteva ancora l’aria condizionata. Una notte d’agosto ho sorpreso tutti e ho iniziato a respirare in quell’aria sospesa tra mare e rocce, ulivi e pini marittimi. Così, per me, è sempre un’emozione venire qui. Sento di appartenere a questo luogo.
Lasciata l’Aurelia bisogna immettersi nella strada che porta al parcheggio e proseguire a piedi sino alla Chiesa di San Rocco. Da qui la natura s’infittisce, il colore principale è il verde scuro dei pini e del muschio. È un bosco tra le case.
Costruzioni piccole, forzieri, ricavati dalle pareti del monte, dotate di terrazze e di muretti a secco, alcune raggiungibili solo da scalini a prova di ginocchia ben allenate. Dietro la chiesa c’è una statua particolare, dedicata a un cane, con la scritta “all’amico fedele dell’uomo” che rende bene l’idea di come quello sia un posto speciale. Dal suo piazzale partono i sentieri.
Quello tra le case colorate che scende a Camogli, contrassegnato da due pallini rossi, lo faccio volentieri in discesa , anche se ricordo i miei nonni che, devotamente, preferivano affrontarlo in salita, rosari in mano, ventagli, canottiere e fazzoletti in testa.
I gradini in cemento procedono tortuosi tra glicini, fiori di pesco e ciliegio, limoni e mandarini, sulle terrazze coltivate, i fiori delle prime fave e il basilico, un po’ dappertutto, senza un ordine preciso.
Il mare è sospeso tra terra e cielo. Si respira davvero, c’è odore di legna bruciata, letame ed erba nuova. A metà strada uno gnomo di cemento, con un capellino da marinaio posato chissà quando e perché, ti saluta dall’alto di un cancello, e, più sotto, meraviglia, se sei fortunato puoi vedere il pavone far la ruota, tra le galline e i galli del pollaio.
Il mare è sospeso tra terra e cielo. Si respira davvero, c’è odore di legna bruciata, letame ed erba nuova.
Ci sono ulivi e le reti arancioni, per raccoglierne i frutti e tra le pietre dei muretti, qualche “grigua”, muschio e capelvenere. In poco tempo e quasi senza accorgersene si arriva a valle.
Si sente il rumore dell’acqua e dietro una curva, il fiume che forma piccole rientranze tra le case che lo costeggiano. Ancora terrazze, villette e prati ben coltivati. Un paradiso, nel golfo Paradiso. Non a caso, proprio in questa valle del Castellaro , sono stati trovati dei reperti archeologici, di capanne e utensili e frammenti di ossa e terrecotte, che testimoniano insediamenti umani già del XIII e XII secolo a.C., conservati nella sala Archeologica del Museo di Arti Marinare “G.B.Ferrari” a Camogli, tappa obbligata per i sognatori. Arrivati in fondo, il fiume ci saluta, formando piccole conche, dove papere bianchissime e germani reali si rincorrono e schiamazzano, formando larghi cerchi sull’acqua. Viene quasi voglia di risalire, di tornare sicuramente, col rispetto per chi ci abita, per chi sale pregando, o scende in silenzio respirando aria di terra e mare, di storia e di fatica.
Bellissima inquadratura di un pezzetto di liguria famoso in tutto il mondo ma più che altro denso di ricordi per noi che li abbiamo vissuti.
un abbraccio
Antonella